FREDDIE SPENCER
“THE FAST”

Nessun pilota ha esaurito la carriera nel Mondiale in appena quattro anni vincendo come lui. Tre titoli iridati fra il 1983 e il 1985: il primo lo ha consacrato all’epoca come il più giovane Campione del mondo della 500, gli altri due invece, uno in 250 e l’altro ancora nella mezzo litro, li ha conquistati in una sola stagione con una storica doppietta. Poi il buio. Zero vittorie, mai più a podio nel Mondiale, una misteriosa tendinite ed un lento declino senza più tornare il fuoriclasse di un tempo
La storia di Freddie Spencer inizia il 20 dicembre del 1961 a Shreveport, in Louisiana, in una famiglia molto religiosa. Suo padre gestisce una drogheria alla periferia della città e non ha mai guidato una moto in vita sua, ma sostiene subito la passione del figlio. Freddie, che in realtà si chiama Frederick Burdette, a quattro anni guida già una mini-moto girando sugli ovali in terra battuta, spesso anche sotto la pioggia. È così che impara a far derapare la moto e a percorrere le curve con entrambe le gomme che scivolano. A otto anni decide che da grande farà il pilota, a dieci ha già partecipato a 90 gare su pista ovale, vincendone 83.
I giornali iniziano ad occuparsi di lui nel 1976, dopo una corsa a Palm Beach, in Florida. Vedere un ragazzino di 15 anni del profondo sud battere piloti con il doppio della sua età, assistito dal papà droghiere in veste di meccanico, trasforma Freddie Spencer in un personaggio.
Nel 1978 ottiene la licenza “Expert” e con una Yamaha TZ 250 arriva secondo alla 100 Miglia di Daytona dietro a Skip Askland, ma solo perché nel corso dell’ultimo giro, mentre sta preparandosi ad attaccarlo, deve rallentare per non tamponare un doppiato. La Honda America vorrebbe metterlo subito sotto contratto, ma viene preceduta dalla Kawasaki USA che ingaggia Spencer per il Campionato AMA Superbike del 1979, nel quale vince due gare senza però inserirsi nella lotta per il titolo.
Freddie alla Honda ci arriva l’anno seguente firmando per il team di Steve McLaughlin - il futuro inventore del Mondiale Superbike - che lo iscrive con una CB bialbero all’AMA Superbike, lasciandolo libero di correre con altri team quando è libero da impegni.
Partecipa così per la prima volta alla 200 Miglia di Daytona con una Yamaha TZ 750, debutta nel Mondiale 500 a Spa-Francorchamps e, sempre con una Yamaha, disputa in Inghilterra le gare del Transatlantic Trophy. La Honda France lo chiama invece per partecipare al Bol d’Or sul circuito del Paul Ricard con la RCB1000.
Nel 1981 è a tutti gli effetti un pilota ufficiale Honda nell’ AMA Superbike, però ha la possibilità di guidare anche la NR500 a pistoni ovali. Chiude al secondo posto il Campionato AMA, battuto da Lawson, ma è protagonista di alcune gare strepitose. A Laguna Seca gli viene affidata per la prima volta la NR, che in quasi tre anni di sporadiche apparizioni nel Mondiale non ha mai raggiunto alcun risultato. La gara, valida per il campionato F1, si disputa in due manche. Spencer vince la prima ed è al comando anche della seconda fino al ritiro per la rottura del motore.
Una prestazione notevole proprio sotto gli occhi di Soichiro Irimajiri, il "papà" della NR, che chiede a Yoichi Oguma, il futuro Presidente della HRC, di fargli disputare anche il GP d’Inghilterra a Silverstone. Con lui alla guida, sulla stessa pista dove due anni prima aveva conosciuto l’onta della mancata qualificazione, la NR parte con il decimo tempo e in gara mantiene a lungo la quinta posizione prima di alzare bandiera bianca, ancora per un problema al motore.
Dopo questo exploit Freddie entra a far parte del team Honda HRC che nel Mondiale 1982 porta al debutto la nuova NS500 tre cilindri due tempi, la moto destinata a prendere il posto della NR. Timido ed educato, Spencer non rispecchia lo stereotipo del pilota americano di quei tempi. È appassionato di basket, prega prima di ogni GP, legge i quotidiani per mantenersi aggiornato su quanto succede negli USA e, per sentire meno nostalgia della Louisiana, beve solamente Dr. Pepper, una bevanda all’amarena che fa arrivare direttamente dagli Stati Uniti.
In apparenza disponibile con tutti, Spencer alza fra sé e il resto del mondo una specie di barriera. A chi gli chiede se ha già deciso dove sistemarsi in Europa, risponde vagamente che gli piace l’Austria. Ma poi, ogni volta che capita l’occasione, torna a casa in aereo.
La sua strana vita da pendolare, che lo porta a non trascorrere mai più di dieci giorni consecutivi lontano dagli USA, fa discutere. Si dice addirittura che Spencer di giorno non si vede mai in giro per il paddock perché dorme nella “morte nera”, il suo mega motor-home dai vetri oscurati e l’aria condizionata perennemente accesa, per mantenere il fuso orario della Louisiana e smaltire così le fatiche dei voli intercontinentali.
Velocissimo su piste sconosciute, guida in modo nuovo. In pratica ritarda la piega in ingresso curva con un accenno di derapata, resta alla corda il minimo indispensabile per la sua percorrenza per poi raddirizzare il prima possibile la moto, dare gas in anticipo ed uscire rapidamente dalle curve. A ben vedere oggi in MotoGP si guida così, ma Spencer lo faceva con successo oltre 30 anni fa.
Gli avversari sono spiazzati. Dopo il GP di Argentina 1982 chiuso al terzo posto con la nuova Honda NS al debutto, Roberts e Sheene dichiarano: “Forse Spencer esagera un po’ troppo nella guida e si prende dei bei rischi. Se non si dà una calmata può farsi seriamente del male”.





Oltre alla sua guida particolare e alla capacità di imparare velocemente le piste, ad impressionare è anche il ritmo che imprime alle prime fasi di gara con le gomme ancora fredde. All’inizio degli anni Ottanta si parte a spinta e senza le termocoperte in griglia, eppure Spencer affronta le prime curve ad una velocità impensabile per gli altri, accumulando un vantaggio spesso incolmabile.
Per Marco Lucchinelli e Takazumi Katayama, suoi compagni di squadra, il confronto a volte è frustrante. “Lucky” lo paragona addirittura ad un extraterrestre. “Freddie si ferma per parlare con i meccanici senza togliersi il casco anche quando piove e la sua visiera non si appanna. Quando finiamo un GP noi siamo stravolti, lui invece non è neanche sudato. Persino la sua tuta ha qualcosa di anormale, quando rientra ai box non ci trovi nemmeno un moscerino spiaccicato. Sembra quasi che li eviti mentre guida…”.
Anche i giornalisti la pensano come lui ed iniziano a chiamarlo “E.T.”, come l’alieno dell’omonimo film di Steven Spielberg. Spencer ringrazia, ma fa notare che un soprannome già ce l’ha: negli USA fin dal 1978 lo chiamano “The Fast”, con la lettera maiuscola.
Dopo l’exploit di Buenos Aires ad inizio campionato, in Belgio conquista la prima vittoria in un GP, ripetendosi anche al GP di San Marino, ed è poi secondo in Italia e Inghilterra. Al termine del Campionato è terzo e a chi gli chiede quale sia il segreto dei suoi risultati, Spencer risponde che sono frutto dell’allenamento, ma aggiunge: “Mi bastano quattro giri per capire cosa cambiare alla moto per fare quello che voglio. Riesco a spingere subito con una gomma che non conosco, perché anche se la moto scivola, so come bilanciarla per avere tutto sotto controllo”.
L’anno seguente lotta già per il titolo con Kenny Roberts. Freddie vince in Sudafrica, Francia e Italia mentre Kenny si impone in Germania. Spencer replica in Spagna, Roberts è ancora primo in Austria e Spencer in Jugoslavia. Nella fase finale del campionato è però il rivale della Yamaha ad essere più concreto e con le tre vittorie in Olanda, Belgio ed Inghilterra di Roberts i due si trovano con gli stessi punti, quando mancano due GP al termine. Il momento decisivo è a poche curve dalla fine del GP di Svezia ad Anderstorp, quando Roberts in testa viene spinto senza troppi complimenti fuori pista da Spencer che va a vincere, presentandosi all’ultimo appuntamento del GP di San Marino con un piccolo vantaggio da gestire.
Ad Imola Kenny deve vincere e sperare che il suo compagno di squadra Eddie Lawson si inserisca fra lui e il rivale. Freddie invece termina in seconda posizione tra i due piloti Yamaha e si aggiudica per 2 punti il titolo, regalando alla Honda il primo titolo in 500 e diventando il più giovane Campione del mondo nella storia della classe regina. Un primato quest’ultimo che è durato trent’anni e che gli è stato strappato da Marc Marquez nel 2013.
Spencer potrebbe fare il bis l’anno seguente, ma le cose non vanno per il verso giusto. Durante le prove del GP del Sudafrica cade per la rottura del cerchio posteriore in carbonio della rivoluzionaria Honda NSR quattro cilindri che ha preso il posto della NS, ed è costretto a saltare la gara. Con la NSR vince il GP delle Nazioni a Misano, poi chiede di usare la vecchia NS con cui si aggiudica il GP di Germania. Risalta ancora in sella alla NSR e vince in Francia e Jugoslavia e poi con la NS è primo anche in Belgio.
La lotta per il titolo sembra riaperta, ma in una nuova caduta durante una gara a Laguna Seca valida per il Campionato USA, si rompe una clavicola ed è costretto a saltare gli ultimi tre GP. Al termine della stagione è solo quarto nel Campionato vinto da Lawson.
Per rifarsi dalla delusione, Spencer e la Honda annunciano di voler vincere 250 e 500 nello stesso anno. L’operazione viene pianificata nei minimi particolari. Al pilota della Louisiana l’HRC mette a disposizione per il 1985 una 250 velocissima e nella mezzo litro una versione riveduta e corretta della NSR. Freddie viene seguito da un fisioterapista e per accelerare i tempi di recupero - in tutti i GP l’intervallo fra 250 e 500 non è nemmeno di un’ora - si decide di utilizzare anche una bombola di ossigeno.
Quella che inizialmente sembra un’impresa impossibile, diventa invece una trionfale passerella per Spencer. In 250 vince sette GP diventando Campione del mondo con due gare d’anticipo. In 500 invece si aggiudica altrettanti GP e diventa nuovamente Campione del mondo, anche in questo caso, con un GP d’anticipo.
Per Freddie è l’apoteosi. La doppia vittoria lo proietta nell’Olimpo del motociclismo e quando lui annuncia di volersi concentrare solo sulla 500 per il 1986, tutti pronosticano una sua facile vittoria.
Alla prova inaugurale del Mondiale, Spencer arriva senza aver provato molto durante l’inverno per colpa di una labirintite, ma anche per recuperare le energie dopo lo sforzo dell’anno prima. La Honda gli ha confezionato una NSR su misura e nelle prove detta legge, firmando la pole position e girando sotto al record della pista. Tutto sembra andare come da copione: al via prende subito il comando, imponendo il solito ritmo insostenibile per gli altri.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, al 13° giro sulla carriera di Spencer cala la notte. La NSR rientra in pit-lane ritirandosi. Freddie racconta ai suoi meccanici che improvvisamente le dita della mano destra si sono bloccate impedendogli di frenare.
“Sindrome del tunnel carpale” è la diagnosi dei medici ed è quello che Spencer racconta ai giornalisti al Nürburgring in occasione del terzo GP in calendario, dove si presenta con un vistoso tutore all’avambraccio. Dice che vuole tornare negli USA per farsi operare, ma poi due settimane dopo corre a Salisburgo, ritirandosi per caduta. A quel punto, a nemmeno 26 anni, “Fast Freddie” annuncia il ritiro.
La spiegazione della tendinite lascia molti dubbi. Alcuni fanno notare che al Jarama, dopo aver consegnato la NSR ai meccanici, Freddie non si è nemmeno toccato il braccio. La tendinite fa soffrire ma non impedisce di guidare e, soprattutto, si può operare. Perché non ha continuato?
Con il passare del tempo dubbi e domande senza risposte avrebbero potuto lasciare spazio al ricordo delle sue imprese, se solo Freddie avesse mantenuto i suoi propositi. Invece lui ci ripensa, ma il fantasma che ritorna al Mondiale meno di un anno dopo non fa altro che scalfirne il mito.
Nel 1987 è fuori dalla squadra ufficiale HRC, ma ottiene una NSR gestita dai suoi vecchi meccanici, che Oguma gli mette a disposizione in segno di riconoscenza per quanto ha fatto per la Honda.
Spencer ha dunque tutto per far bene, ma raccoglie la miseria di quattro punti. È lento, irriconoscibile, cade spesso e, cosa peggiore, in alcune occasioni non si presenta ai GP senza dare spiegazioni. Inevitabile, a fine stagione, un secondo ritiro che però anche questa volta dura un anno.
A dargli fiducia questa volta è Giacomo Agostini che nel 1989 lo riporta al Mondiale su una Yamaha. Freddie sembra motivato e in buona forma dato che nell’anno passato lontano dalle piste si è finalmente fatto operare ai tendini dell’avambraccio, ma l’illusione dura poco. Con la YZR 500 fatica a stare nella top ten e l’unico lampo in cui si intravede l’immensa classe di un tempo è nei primi giri del GP d’Australia a Phillip Island. Rimasto attardato in partenza, Spencer inizia a rimontare posizioni girando con il passo dei primi. Ma quando è sul punto di agganciare Gardner, Rainey, Sarron e Magee che stanno lottando per la vittoria, cade e si ritira. Poi è ancora notte e il suo miglior risultato di una stagione chiusa anzitempo da un triste divorzio consensuale con il team alla vigilia del GP d’Inghilterra, rimane un anonimo quinto posto a Jerez.
Il resto della sua carriera sono briciole insignificanti. Un paio di stagioni nell’AMA Superbike con la Honda RC30 del Team “Two Brothers”, un test a Kyalami nel 1992 con la NSR per un possibile rientro nel Mondiale con la Honda che non si concretizza, tre GP l’anno seguente ancora con la YZR ma della Yamaha Motor France che nessuno ricorda e infine due anni nell’AMA Superbike con la Ducati 916 del Team Ferracci con cui vince qualche corsa negli USA e disputa una manciata di GP come wild card nel Mondiale.
Poi il silenzio e l’uscita di scena. Dopo averlo annunciato per due volte, Freddie Spencer non ha mai ufficializzato la data del suo ritiro definitivo. Troppo dolorosa la fine della sua carriera e troppo duri i commenti di chi all’epoca non ha capito il suo dramma per aver ancora voglia di dare spiegazioni. Lui con il tempo le ha trovate: vecchie fratture mal curate e infortuni sottovalutati come quelli rimediati nel 1985 in due cadute in Spagna e Inghilterra avevano infiammato e logorato i nervi e i tendini della mano a tal punto da non riprendere più l’efficienza di un tempo. E a nulla sono serviti gli interventi chirurgici a cui si è sottoposto, uno persino per rimuovere dei frammenti d’osso dal collo, per cercare di ridare sensibilità alla mano. E i guai fisici hanno intaccato anche la mente, già provata dallo sforzo di quattro stagioni sempre al vertice.
Semplicemente, non solo in quel suo magico 1985, Freddie ha chiesto troppo al suo fisico. Consumandosi.



