Honda CBX1000

Sei cilindri per diventare la moto di serie più potente e veloce del mondo.

Honda CBX1000

Nel panorama motociclistico degli anni Settanta solamente tre Case hanno costruito modelli a sei cilindri fronte marcia, ma solo uno è entrato nella storia. Ad aprire questo club esclusivo è la Benelli con la 750 Sei, presentata nel 1972 dal vulcanico Alejandro De Tomaso ed entrata in produzione due anni dopo. Nel gennaio 1978 è poi il turno della Honda CBX1000, seguita a distanza di otto mesi dalla Kawasaki Z 1300, l’unica ad avere il raffreddamento a liquido e la trasmissione finale ad albero cardanico.

Honda CBX1000
Honda CBX1000

La CBX rappresenta la massima espressione tecnica e costruttiva della Honda nel campo dei motori bialbero a quattro tempi con raffreddamento ad aria, prima del passaggio di consegne negli anni Ottanta - con la sola eccezione della CBX750F - alla nuova famiglia VF, con i suoi motori V4 raffreddati a liquido.

Il project leader della CBX1000 è Soichiro Irimajiri, ingegnere del Reparto corse negli anni Sessanta, dove aveva lavorato alle favolose RC165 e RC166 sei cilindri da GP alle quali si ispira il suo motore. La sua “gestazione” dura quasi due anni, durante i quali Irimajiri e il suo team portano avanti contemporaneamente due progetti che devono celebrare il “canto del cigno” dei motori bialbero raffreddati ad aria. Quello della futura CBX e un altro che riguarda invece una quattro cilindri sviluppata grazie all’esperienza maturata nell’Endurance con la RCB1000, allo scopo di valutare quale dei due potrebbe diventare la più potente e veloce moto di serie di sempre.

A vincere il confronto è la quattro, più efficace in pista e su strada ma anche più semplice da costruire e da gestire a livello di manutenzione. Ad entrare in produzione è però la sei, forte della sua esclusività tecnica rispetto alla sterminata famiglia dei quattro cilindri in linea Honda. Famiglia che accoglierà comunque anche il progetto scartato, diventato poi la CB1100R.

Il motore della CBX1000 nasce per essere parte stressata e strutturale della moto. Costruito in lega leggera, ha i cilindri inclinati in avanti di 33° e i carter del basamento tagliati secondo un piano orizzontale, uniti senza alcuna guarnizione. Pesa 106 kg ed è abbastanza compatto perché la larghezza dei carter è di 584 mm, cinque in più del bialbero CB750 dello stesso periodo.

Il blocco cilindri ha le canne riportate in ghisa e presenta una gola centrale per il passaggio della catena di distribuzione Hy-Vo che comanda la camma di scarico. Una seconda catena più corta, anch’essa dotata di tenditore meccanico, aziona invece la camma di aspirazione.

Gli alberi a camme lavorano direttamente nelle sedi della testa e sono realizzati in due pezzi, uniti tramite un giunto a crociera. La testa monoblocco in alluminio ha le valvole, quattro per cilindro, con camera di scoppio a tetto pentagonale per consentire elevati rapporti di compressione. Le valvole (aspirazione ø 25 mm, scarico ø 22 mm) sono inclinate fra loro di 50° e vengono azionate direttamente dalle camme utilizzando bicchierini e pastiglie calibrate.

I pistoni in alluminio, stampati e con finestre di alleggerimento nella zona dello spinotto, hanno tre fasce, due di tenuta e un raschiaolio, con misure di alesaggio per corsa di 64x53,4 mm per una cilindrata di 1.047 cc. L’albero motore, forgiato e cementato, poggia su sette supporti di banco e ha manovellismo a 120°. Per ridurne la larghezza è presente un albero ausiliario che comanda i servizi, collegato a quello motore dalla catena Morse della primaria. Sulla sinistra dell’albero ausiliario è fissato l’alternatore, a destra ci sono i captatori dell’accensione. Al centro si trova invece l’ingranaggio che lo unisce al motorino d’avviamento e la coppia di ingranaggi a denti dritti che trascinano la campana frizione.

Il cambio, con gli ingranaggi a denti dritti sempre in presa, ha il comando a pedale sulla sinistra. La lubrificazione è a carter umido, con una pompa trocoidale a doppia mandata che fa circolare l’olio in un impianto sdoppiato - una parte va agli organi della distribuzione e all’albero motore, poi attraverso apposite canalizzazioni arriva al cambio e alla trasmissione primaria – dotato di radiatore dell’olio.

A valorizzare il sei cilindri, la nuova CBX si presenta con un design personale che mantiene però i canoni stilistici della gamma CB bialbero già in produzione. Ad occuparsene è lo staff guidato da Norimoto Otsuka, Chief designer della Honda, nonché responsabile all’epoca del look di tutti i modelli destinati al mercato europeo e del Nord America.

Alla fine del 1978 la CBX1000 debutta sul mercato. Con i suoi 105 CV a 9.000 giri e una velocità massima di quasi 225 km/h si presenta come la più potente e veloce moto di serie mai messa in commercio. Inoltre, per la prima volta nella storia della produzione Honda, ha un telaio a traliccio anziché doppia culla, al quale viene “appeso” il motore. Le sospensioni sono Showa, con forcella da 35 mm ed ammortizzatori posteriori regolabili e come le altre CB quattro cilindri bialbero dell’epoca anche la CBX ha le ruote scomponibili tipo Comstar e i freni a disco con pinze a singolo pistoncino.

Purtroppo è proprio la ciclistica, che se stressata mostra i propri limiti, a rivelarsi il punto debole della CBX. Honda corre ai ripari già nel 1979 aumentando la rigidità del telaio e depotenziando il motore, che dai 105 CV dichiarati passa a circa 100.

Honda CBX1000
Soichiro Irimajiri con la Honda CBX1000
Honda CBX1000
Honda CBX1000S
Honda CBX1000S

Alla fine del 1981 arriva poi un radicale cambio di filosofia del progetto con la presentazione della CBX1000S, una delle prime sport-tourer della storia dotata di un ampio cupolino raccordato al serbatoio, che scende poi ai lati del motore lasciando in vista il blocco cilindri e facendo da scudo paragambe al pilota. Nuovi anche i fianchetti di maggiori dimensioni, che congiungono il serbatoio al massiccio codino. Il telaio viene modificato aumentando l’inclinazione del cannotto di sterzo di due gradi - da 27° 5’ a 29° 5’ - variando i valori di avancorsa e interasse per avere più stabilità.

All’avantreno viene montata una nuova forcella Showa da 39 mm, sempre a funzionamento misto oleopneumatico, mentre al retrotreno arrivano il forcellone in alluminio a sezione rettangolare e il monoammortizzatore a sistema Pro-Link. Nuovi anche i freni, con tre dischi autoventilati da 295 mm e pinze flottanti a doppio pistoncino.

La carena, assieme ai paramotore cromati, fanno salire il peso fino a 278,5 kg a vuoto e riducono le prestazioni. Aumenta però il comfort di marcia, specie nei lunghi viaggi autostradali, ma non in città o nel misto dove la CBX1000S perde in agilità e maneggevolezza. Anche la nuova versione Pro-Link ha però vita breve e alla fine del 1983 la sei cilindri esce di produzione.

Feroce ai tempi l’autocritica dello stesso Irimajiri:“Nonostante la CBX sia stata un successo commerciale - ricorderà infatti in un’intervista - io la considero dal punto di vista strettamente tecnico un mezzo fallimento, perché non siamo riusciti a raggiungere il giusto equilibrio fra la potenza del motore, il peso della moto ed il comportamento della ciclistica in generale, specialmente del telaio. Quest’ultimo, per struttura e materiale utilizzato, non era abbastanza rigido per la tipologia della moto e anche se con le varie versioni siamo intervenuti in questo settore, riuscendo poi ad incrementarne la rigidità circa del 20-30%, il valore raggiunto non era comunque sufficiente a dare alla CBX la stabilità necessaria, specialmente sul veloce. Era comunque una prerogativa della Honda in quegli anni privilegiare la potenza a scapito della maneggevolezza, così come era una prassi che chi progettava il motore, raramente si confrontava con chi si occupava del resto della moto”.

Honda CBX1000

Costruita per cinque anni in due versioni (CBX1000 e CBX1000 S) e quattro serie diverse per un numero complessivo di 41.200 esemplari, contro le circa 20.000 Kawasaki Z 1300 e le appena 5.008 Benelli Sei, la CBX1000 si è rivelata in ogni caso la sei cilindri di maggior successo. Quella più amata dal pubblico è stata la prima serie del 1978 1979, prodotta in 29.650 unità.

Caratteristiche tecniche (prima serie 1978-1979)

Motore: sei cilindri in linea frontemarcia inclinati in avanti di 33°, 4 tempi, raffreddato ad aria. Testa e cilindri in lega leggera. Alesaggio per corsa 64x53,4 mm, cilindrata 1.047 cc. Rapporto di compressione 9,3:1. Distribuzione a doppio albero a camme in testa comandate da un doppio giro di catene, 4 valvole per cilindro, ø valvola di aspirazione 25 mm, ø valvola di scarico 22 mm. Diagramma di distribuzione: aspirazione 5°-40°, scarico 40°-5°. Potenza max 105 CV a 9.000 giri. Coppia max 8,5 kgma 8.000 giri.

Lubrificazione: a carter umido con pompa trocoidale a doppia mandata (portata di 36,5 e 27 litri/minuto a 4.000 giri, pressione media di 4,5-5 kgm a 80° C). Filtro a cartuccia intercambiabile e radiatore supplementare di raffreddamento. Capacità coppa 5,5 kg.

Alimentazione: sei carburatori Keihin VB61A ø 28 mm. Livello vaschetta 15,5 mm. Getto max principale 65, secondario 98. Vite del getto minimo aperta di 1 giro e ¼. Filtro aria in schiuma espansa.

Accensione: elettronica ad anticipo automatico misto transistorizzato e centrifugo meccanico. Anticipo fisso 10° a 900 giri. Anticipo massimo 41° a 8.000 giri. Candele NGK DR8ES-L oppure ND X24ESR U. Distanza fra gli elettrodi 0,6 0,7 mm.

Impianto elettrico: alternatore trifase da 350W a 5.000 giri. Batteria da 12V-18 Ah. Motorino di avviamento elettrico.

Frizione: multidisco in bagno d’olio con 8 dischi conduttori e 7 condotti.

Trasmissione: primaria a catena Morse da 34 mm con tendi tore idraulico, finale a catena, rapporto 2,20 (pignone cambio 15 denti, corona 33 denti).

Cambio: in blocco a 5 rapporti con ingranaggi sempre in presa. Comando a pedale sulla sinistra, prima in basso. Rapporti interni: 2,438 in prima, 1,750 in seconda, 1,391 in terza, 1,200 in quarta, 1,037 in quinta.

Telaio: a traliccio in tubi d’acciaio con struttura a diamante. Inclinazione cannotto di sterzo 27°5’.

Sospensioni: anteriore forcella telescopica ø 35 mm, escursione 160 mm; posteriore forcellone oscillante con due ammortizzatori regolabili su cinque posizioni di precarico molla, tre di estensione e due di compressione.

Freni: anteriore due dischi da 276 mm con pinze a singolo pistoncino; posteriore a disco da 295 mm.

Ruote: in lega scomponibili Comstar con cerchio e razze in alluminio, anteriore da 19”, posteriore da 18”. Pneumatici, anteriore 3.50V-19; posteriore 4.25V-18.

Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.240, interasse 1.495, larghezza 780, altezza max 1.145, altezza sella 810, altezza pedane 330, luce a terra 150. Peso a vuoto 247 kg. Peso in ordine di marcia 268 kg.

Prestazioni dichiarate: velocità max 225 km/h. Consumo 23 km/litro a 60 km/h.