Honda CX500/CX650 Turbo

Turbo Time. Quando una moda non è sinonimo di successo

All’inizio degli anni Ottanta, grazie alle vittorie ottenute dalla Renault in F1, la sovralimentazione torna alla ribalta anche in campo motociclistico.

Il motore turbo significa tecnologia, innovazione ed elevate prestazioni sia in campo sportivo che nella produzione di serie, nonostante il ritardo di risposta nel fornire la potenza e il modo brusco in cui viene erogata, possano condizionare la guida di una moto.

La prima a raccogliere la sfida è la Moto Morini grazie a Franco Lambertini, già al lavoro nel 1977 poco dopo il debutto della Renault Turbo in F1. Ma il suo progetto termina per mancanza di fondi con la presentazione al Salone di Milano 1981 della Moto Morini 500 Turbo.

Chi invece si spinge oltre diventando la prima Casa motociclistica a produrre una moto turbo è la Honda. Che a Colonia nel 1980, quindi in anticipo sulla Morini, espone la CX500 Turbo e l’anno seguente ne inizia la produzione.

La base della Honda turbo è il motore della CX500, modello granturismo di enorme successo prodotto fin dal 1978.

Un bicilindrico a V di 80° con alesaggio per corsa di 78 x 52 mm, cilindrata di 496,69 cc, distribuzione ad aste e bilancieri e teste con quattro valvole, scelto perché l’apertura della V dei suoi cilindri di 22° è adatta ad ospitare i componenti della sovralimentazione.

Per la scelta della turbina gli ingegneri si rivolgono alla IHI, azienda giapponese leader nel settore. Quella più piccola in commercio all’epoca ha le giranti con un diametro di 85 mm, ma la Honda riesce a farsene costruire una piccolissima, con la girante calda investita dai gas di scarico di soli 50 mm e quella fredda che soffia aria nel condotto di ammissione di 48 mm.

L’obiettivo è quello di contrastare il “turbo-lag”, ovvero il fenomeno del ritardo alla risposta tipico dei motori turbo automobilistici nei primi anni Ottanta, facendo girare una piccola turbina a regimi elevatissimi (180.000 giri di rotazione massima e 130.000 giri a regime di funzionamento) per garantire una sovrapressione di 1,2 bar.

La gestione del motore è affidata a due centraline, una per il sistema di alimentazione ad iniezione elettronica e l’altra per l’accensione. Quella dell’iniezione fa capo al sistema CFI (Computerized Fuel Injection) che, tramite sensori, misura la temperatura e la pressione dell’aria a monte e a valle del turbo, la temperatura dell’acqua, l’apertura della farfalla e il regime di rotazione del motore.

La centralina regola il momento dell’accensione e la quantità di carburante da erogare attraverso gli iniettori, ma gestisce anche l’avviamento a freddo facendo aprire un circuito di by-pass, con valvola a lamelle comandata da termocoppia, che fa alzare il minimo fino a quando il motore non raggiunge la temperatura di lavoro. Inoltre, si attiva in caso di malfunzionamento per consentire in ogni caso il ritorno a casa ad un basso regime di rotazione, segnalando l’anomalia attraverso una serie di led. Oggi normale amministrazione, ma per l’inizio degli anni Ottanta pura fantascienza!

La centralina dell’accensione invece, gestisce l’anticipo variabile, ottimizzando il funzionamento del motore ad ogni regime per ridurre il ritardo del turbo e rendere il più possibile fluida l’erogazione.

Rispetto alla versione aspirata non cambia molto nel resto del motore. Il carter, con i cilindri fusi in blocco nella sua parte superiore, è nato come elemento stressato della ciclistica. È quindi robusto e non richiede alcuna modifica. I pistoni fusi e con il cielo bombato della CX500 lasciano invece spazio sulla Turbo a pistoni stampati e dal cielo piatto. Il rapporto di compressione viene abbassato da 10:1 a 7,2:1 per evitare troppe sollecitazioni, mentre le valvole di scarico sono ridotte di 2 mm allo scopo di imprimere più velocità ai gas e attivare rapidamente la girante.

L’albero motore e le bielle vengono irrobustiti, così come la catena Morse, dotata di tenditore automatico di registrazione, che comanda la camma della distribuzione.

La frizione viene invece adattata alla maggior potenza del motore Turbo con un disco e due molle in più. Per quanto riguarda il reparto trasmissione vengono allungati i rapporti interni del cambio e quello della primaria, mentre rimangono invariate la coppia conica e l’albero cardanico della trasmissione finale, irrobustiti a livello di materiali.

Il circuito di lubrificazione viene potenziato aumentando la portata della pompa dell’olio. Rispetto alla versione aspirata aumentano anche le dimensioni della coppa, ma solo per migliorare il raffreddamento del lubrificante perché la capacità del circuito di tre litri rimane invariata.

Identico anche l’impianto di raffreddamento a liquido, con la sola introduzione del comando elettromagnetico della ventola tramite un termostato anziché il funzionamento continuo della ventola, collegata all’albero a camme, come avveniva sulla CX500.

Adottando il turbo l’aumento di potenza e coppia è consistente, perché si passa dai 50 CV a 9.000 giri e 4,4 kgm a 7.000 giri della versione aspirata ai 78 CV a 8.000 giri e 7,5 kgm a 7.500 giri dichiarati per la Turbo.

Oltre al motore, anche ciclistica ed estetica sono innovativi. Il telaio è una struttura mista, costituita da tubi e parti in lamiera scatolata. La forcella oleopneumatica Showa con dispositivo anti-dive TRAC (Torque Reactive Antidive Control) è regolabile su quattro posizioni di precarico molla, mentre il leveraggio del sistema Pro-Link al posteriore viene rivisto per essere più efficace.

L’aura sportiva legata al motore sovralimentato non trova riscontro nel design perché, a dispetto delle prestazioni che dovrebbe offrire, la CX500 Turbo è stata pensata come una granturismo. Dotata di una voluminosa carena con plexiglass quasi verticale studiata in galleria del vento e provvista di una lunga sella, adatta ad ospitare comodamente il passeggero.

Nell’immaginario collettivo la Honda Turbo doveva essere una media cilindrata agile e leggera con a disposizione i CV di una maxi. Invece di una 1.000 cc ha solo il peso e, dato che supera di poco i 200 km/h, di sportivo ci sono solo i consumi: circa 12,5 km con un litro su percorsi misti.

A pochi mesi dalla consegna dei primi esemplari emergono alcune piccole criticità. Nonostante l’adozione di una turbina dalle giranti piccolissime, resta il ritardo di risposta al comando dell’acceleratore. Se cala il regime di rotazione della turbina, specialmente affrontando una curva, è difficile capire quando la sovrapressione tornerà ai 1,2 bar necessari all’entrata in funzione del turbo. Che potrebbe arrivare in qualsiasi momento, magari con la moto ancora inclinata. In più i 246 kg a secco, oltre ad influire negativamente sulle prestazioni, penalizzano la guida nel misto o nei veloci cambi di inclinazione. I freni sono potenti e modulabili ma con così tanti kg da fermare tendono a surriscaldarsi se utilizzati in maniera troppo aggressiva.

Nel 1983, mentre anche le altre Case giapponesi stanno lanciando i loro modelli sovralimentati, la Honda ne rivede il layout presentando la CX650 Turbo, con alcune modifiche di dettaglio a meccanica ed estetica, ma restando fedele alla filosofia del progetto.

La cilindrata viene portata a 673,55 cc, con nuove misure di alesaggio per corsa di 82,5 x 63 mm, per guadagnare qualche CV ed aumenta il rapporto di compressione fino a 7,8:1. La potenza dichiarata sale a 100 CV a 8.000 giri mentre la coppia arriva a 10 kgm a 4.500 giri.

Ovviamente assieme ai CV crescono anche le prestazioni, mentre con la messa a punto del motore si riesce a diminuire il “turbo-lag” e a gestire meglio l’entrata in funzione del turbo.

Anche in questa sua nuova veste la Honda Turbo non fa però breccia nel cuore degli appassionati. Impossibile da superare il pregiudizio originario che vorrebbe le moto sovralimentate potenti, veloci e leggere come un’auto sportiva o una monoposto di F1, anziché pesanti e destinate alla guida turistica come la CX.

Una volta tramontata nel breve volgere di un lustro la moda effimera dei motori sovralimentati in campo motociclistico, delle CX 500/650 Turbo rimangono la tecnologia esclusiva del progetto e l’inarrivabile qualità costruttiva con cui la Honda negli anni Ottanta, ha staccato con ogni suo modello il resto della produzione mondiale.