Tim Gajser ed Honda

Chi ha corso con lo stemma HRC cucito sulla maglia, non ha fatto nel motocross ciò che a Gajser è riuscito dal 2014 ad oggi. In nove anni ha vinto cinque titoli mondiali, quattro dei quali nella MXGP, la top class. L’ultimo quest’anno. Sempre in sella a una Honda.

Hondaracing/shotbyBavo

Tim Gajser, 26 anni l’8 settembre, è un ragazzo a cui la vita ha dato una “carta bassa”... Nulla di facile, anzi, ma nelle difficoltà, il Campione ha trasformato i limiti in forza.
È partito da lontano, sostenuto dai sacrifici dell’intera famiglia. Ha cominciato da Ptuj, impronunciabile paesino nella regione della bassa Stiria dove ha scoperto la passione per la moto.
Da un lato il giovane di talento, dall’altra il ragazzo la cui economia emotiva si trova in un’orbita a noi sconosciuta e per questo incomprensibile.
È salito sulla prima Honda da adolescente. Con “lei” è diventato uomo e campione. Con la Honda stabilisce e ritocca record.

A Mantova - un anno fa - dopo aver perso il confronto con Jeffrey Herlings e Romain Febvre, aveva detto che non sempre si può vincere, convinto che lo sport, ancor più della vita, ti offre sempre una nuova opportunità. Rispetto per gli avversari e grande consapevolezza: sicuro ma soprattutto in grado di liberare un talento evidente e raro. Doveva tornare a vincere e così è stato. L’ha fatto dentro un equilibrio interiore che all’ombra di Bogomir, un padre ingombrante, faticava ad uscire. L’ha fatto dominando per lunghi tratti. Nel tempo è maturato, di concerto con la squadra: uguale nella sostanza da quasi un decennio. Stesso team, stesso numero di gara. Quel 243, un’icona che spezzata in due si legge come una data. Quella che indica un dramma: il ventiquattro marzo di tanti anni fa, Tim perdeva il fratello in un’incidente di pista.

Non è ancora chiaro fin dove possa arrivare. Al momento ha compiuto metà del suo cammino. È già 5 volte campione mondiale. Può diventare leggenda. Quanto fatto lo colloca in una posizione che i grandi del passato non hanno raggiunto. Nomi ingombranti, campioni acclamati che non hanno fatto quello che a lui sta riuscendo guidano una “rossa”. Gajser e Honda, storia di un grande amore. Ha gestito l’ultimo campionato in modo silenzioso: la solitudine in mezzo al grande rumore. Si è adattato a qualsiasi situazione. Ha vinto dovunque, quando ha voluto, ha gestito quando non era il caso di sbagliare. Momenti splendidi alternati a qualche incomprensibile blackout. Come se nel corso del suo cammino volesse uscire di scena per nascondere una superiorità a tratti netta e fin troppo evidente. E’ stato luce solitaria ma anche ombre, per molti inspiegabili: un peccato veniale che col senno di poi appare adesso come saggezza. Quel suo cambio di passo dopo l’ottava prova è la sola sbavatura di un mondiale conquistato con grande anticipo. Dalla gara di Riola Sardo, corsa nonostante un fastidioso virus, ha cominciato una nuova stagione. Dove non poteva perdere per l’assenza dei due avversari più forti. Con un solo risultato accettabile: la vittoria. In queste circostanze diventa enorme la pressione. Ogni errore può innescare critiche. Ogni vittoria diventa scontata al limite del banale. È il destino del campione costretto a vincere. È una pressione che diventa fragilità quando non la si gestisce. E vale anche per il team Gariboldi, la squadra italiana a cui HRC ha affidato la presenza nel mondialcross. Gajser e la sua RC450 che ingegneri e meccanici gli hanno cucito addosso sono una fotografia dell’affiatamento raggiunto. Di un gruppo di lavoro competente, affidabile e reattivo nel mettere a punto motore e telaio per pilota e pista.

Gajser e quella sua centralità in sella: quel modo di stendersi e di spingere sulle pedane che è stato anche di Stefan Everts, da cui però differisce per quella modernità che si manifesta soprattutto tra salti e vawes. L’arte di guidare in punta di piedi… Muscolare, forte nelle gambe ma mai pesante nell’azione, tecnico e capace di interpretare ogni genere di terreno con la stessa efficacia.
Tranquillo ed esigente nella giusta misura, così dicono i suoi tecnici. Concentrato sull’assetto. Non estremo: rigido sì, ma neanche all’accesso. Conservatore. Restio ad esplorare nuove configurazioni. Irremovibile nei confronti delle decisioni prese. Difficilissimo che cambi idea. Metodico. Una forcella ed un’ammortizzatore per la sabbia, un secondo kit per terreni duri. Poi nelle prove del gran premio solo rifinitura dei dettagli. Pochi click alle sospensioni. Nessuna rivoluzione.

Il suo processo di maturazione fa il pari con lo sviluppo dei suoi motori. Una scelta importante: quel motore violento, appuntito ed esplosivo che voleva da giovane, ha lasciato il posto ai 450 con erogazione fluida e meglio gestibile. Perché non si deve vincere per un solo anno. Meglio riuscirci per tante stagioni preservandosi con una moto più facile con la quale si rischia di meno.
Raccontano della sua dedizione al lavoro. Professionista: consuma moto, pneumatici e materiali come le suole di scarpe da jogging. Si allena tanto. Come i campioni sanno e riescono a fare.
Le statistiche sono evidenti. 2007, vince il titolo europeo 65. 2009, replica nella classe 85. 2012, campione europeo 125. 2015, titolo mondiale MX2 (la prima corona iridata). 2016-2019-2020-2022, titoli MXGP 450. Corre 183 gran premi, ne vince 43. Sale 108 volte sul podio. 2022, vince 14 delle 36 manche. Vince oltre il 50% dei gran premi disputati.

A 26 anni, Tim Gajser firma il rinnovo con Honda con una sola premessa: vincere ancora.